
“La Dieta Mediterranea costituisce un insieme di abilità, conoscenze, pratiche e tradizioni che spaziano dal paesaggio alla tavola, che comprendono le coltivazioni, il raccolto, la pesca, la conservazione, lavorazione, la preparazione e, in particolare, il consumo degli alimenti. La Dieta Mediterranea è caratterizzata da un modello nutrizionale che è rimasto costante nel tempo e nello spazio, che consiste principalmente di olio d’oliva, cereali, frutta e verdura fresca o secca, una quantità moderata di pesce, latticini e carne, e molti condimenti e spezie, il tutto accompagnato da vino o infusi, nel rispetto delle credenze di ogni comunità. Tuttavia, la Dieta Mediterranea riguarda più che i semplici alimenti. Essa promuove l’interazione sociale, dal momento che i pasti comuni rappresentano la pietra angolare delle usanze sociali e degli eventi festivi. Essa ha dato origine a un considerevole corpo di conoscenze, canzoni, massime, racconti e leggende. Si tratta di un sistema radicato nel rispetto per il territorio e la biodiversità e garantisce la conservazione e lo sviluppo delle attività tradizionali e artigianali legate alla pesca e all’agricoltura nelle comunità mediterranee, di cui Soria in Spagna, Koroni in Grecia, il Cilento in Italia e Chefchaouen in Marocco sono esempi. Le donne rivestono un ruolo particolarmente vitale nella trasmissione delle competenze, nonché della conoscenza di rituali, gesti e celebrazioni tradizionali, e nella salvaguardia delle tecniche.”
Questo è quanto scriveva il Comitato Intergovernativo della Convenzione Unesco sul Patrimonio Culturale Immateriale che, nel 2010 a Nairobi, approvò l’iscrizione della Dieta Mediterranea nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale (UNESCO Decisione 5 COM 6.41 del 16 novembre 2010 – File n. 00394 for Inscription on the Representative List of the Intangible Cultural Heritage in 2010 – Nairobi, Kenya – November 2010).
Nel 2013 la platea delle comunità venne estesa a Cipro, Croazia e Portogallo. In verità, con riferimento alle comunità, rimane il vulnus della mancata inclusione di Nicotera, luogo rappresentativo della Calabria, al quale è attribuita la Dieta Mediterranea di Riferimento Italiana.
Alla luce di quanto sancito dall’Unesco appare chiaro come la Dieta Mediterranea (DM) vada inquadrata in un concept dinamico ed a più dimensioni che coniughi gli imprescindibili “fatti antropologici” – di cui è permeato il valore immateriale riconosciuto dalla UNESCO – ai “fatti della Food Science” che ogni giorno si arricchiscono di nuove conoscenze e che consentono di rielaborare continuamente quella felice intuizione della Mediterranean Way coniata a metà degli anni settanta dagli scienziati americani Ancel e Margaret Keys, per codificare lo stile di vita tradizionale che avevano scoperto e studiato nel Mediterraneo fin dagli anni Cinquanta. La Mediterranean Way, declinata, anni dopo, come Dieta Mediterranea, dimostrò, all’esito di numerosi studi epidemiologici, per la prima volta nella storia della medicina, che i bassi tassi di malattia e la longevità delle popolazioni del Meridione di Italia, in particolare Calabria, Campania, Sardegna, Marche, si spiegava con i costumi sociali e le abitudini alimentari incentrate sul consumo di produzioni alimentari locali.
A questo proposito c’è da dire che benché il modello alimentare alla base della DM rimanga, per certi versi, sospeso tra mito e realtà, come molti antropologi e storici hanno sottolineato, fermo restando le verità storiche da questi ampiamente riportate relativamente ai regimi alimentari della popolazioni contadine degli anni 50, ad un’attenta analisi che tiene conto, contestualmente, sia della tipologia di alimenti effettivamente consumati che delle abitudini di vita e della pesante attività fisica per il compimento dei lavori quotidiani, e degli esiti degli studi di nutrizione clinica, non emergono elementi rilevanti a favore del mito.
Rimane la tavolozza policroma della Dieta Mediterranea dalla quale trarre ispirazione non solo per riappropriarsi dello stile di vita salutare e del ventaglio di preparazioni in grado di ammaliare i più esigenti gastronauti, ma anche per un amplissimo ventaglio di potenziali interventi di sviluppo sostenibile che spaziano dalla tavola al paesaggio. La FAO (Food and Agricolture Organization), considera la DM un modello di dieta sostenibile rispettoso delle risorse naturali e della biodiversità, dei paesaggi locali e dell’ambiente e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), la riconosce come modello nutrizionale che contribuisce alla salute ed al benessere delle popolazioni.
Questo “sistema radicato nel rispetto per il territorio e la biodiversità” basato su diete locali “nel rispetto delle credenze di ogni comunità” è stato, altresì, proposto come modello a livello globale per contribuire a mitigare l’impatto ambientale dei sistemi alimentari sui grandi cambiamenti sociali e climatici in atto, rispondendo alle sfide che gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 approvata dall’ONU nel 2015 e alla nuova strategia europea From Farm to Fork.
In particolare, l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, che è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità, rappresenta, nelle intenzioni dei sottoscrittori, una base comune da cui partire per dare a tutti la possibilità di vivere in un mondo sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale, economico ed ha individuato nella DM lo strumento sul quale strutturare il futuro sviluppo sostenibile in piena coerenza con gli strumenti internazionali sui diritti umani.
Focalizzando sul modello alimentare tradizionale incluso nel concept della DM, si può osservare come questo sia basato sul consumo di alimenti di origine vegetale (cereali, legumi, olive, noci, frutta, verdura, erbe aromatiche) su un consumo moderato di pesce, frutti di mare, uova, carni bianche e derivati lattiero-caseari, povero di carne rossa e processata e di zuccheri semplici, con un consumo moderato di alcol (limitato al vino durante i pasti) e olio d’oliva come principale fonte di grasso.
Una vasta letteratura scientifica ha dimostrato l’effetto protettivo di questo modello rispetto alle malattie cardiovascolari, alla sindrome metabolica, al diabete mellito, ad alcuni disturbi neurodegenerativi ed ai tumori.
La modalità adottata per facilitare l’adesione a questo stile di vita incentrato sul modello alimentare mediterraneo è la Piramide Alimentare, un tentativo ben riuscito di comunicare in modo efficace e sintetico attraverso un modello grafico di riferimento quali e quanti cibi debbano essere preferibilmente assunti durante la giornata o la settimana.
L’interpretazione è basata su un principio molto semplice: gli alimenti situati alla base della piramide sono quelli che bisogna consumare tutti i giorni ed in quantità maggiori e, salendo via via verso l’apice, la frequenza e quantità diminuiscono sino a diradarsi.
Ovviamente la piramide, congiuntamente ai regimi dietetici rappresentati, è oggetto di continui aggiornamenti necessari per dare seguito alle evidenze scientifiche sul rapporto tra alimenti e salute che nel tempo si consolidano.
Questo modello grafico ha, in verità, origini svedesi. Nel 1970, quanto in Svezia vi fu fortissimo rincaro dei prezzi dei prodotti alimentari, il governo chiese al Consiglio nazionale della sanità e del benessere di studiare delle soluzioni per mitigare l’impatto sui consumatori. L’ente individuò i cibi che definì basilari, quelli economici e necessari alla sopravvivenza e i cibi supplementari che, seppure ricchi di nutrienti, essendo più costosi il suggerimento era di un consumo con minore frequenza. Nel 1974 fu pubblicato nella rivista annuale della Kooperativa Förbundet, con il titolo “Buon cibo sano e a prezzi ragionevoli il modello triangolare proposto da tal Anna Britt Agnsäter. Il modello che visualizzava anche le porzioni in modo semplice ed intuitivo, si rivelò il più efficace per rappresentare i consigli alimentari.
La Piramide alimentare rimane, però, collegata a quella del 1992 quando, preso atto che lo stile di vita alimentare aveva una forte incidenza sull’aumento dell’insorgenza di malattie croniche, il Dipartimento dell’Agricoltura degli USA (USDA) pubblicò la prima guida alimentare con l’obiettivo di orientare i consumatori verso scelte consapevoli. In quell’occasione, dopo una prima elaborazione su base circolare (Fig.1)

fu definitivamente adottata la distribuzione degli alimenti su un pattern piramidale, con l’obiettivo di illustrare attraverso un immediato approccio visivo, i principi e gli elementi fondamentali di una corretta alimentazione.
La Piramide alimentare americana, denominata “Piramide della Guida Alimentare” (Fig. 2) divenne un’icona in tutto il mondo.

Era suddivisa in quattro sezioni: alla base, con indicazione di consumo abbondante e quotidiano, erano presenti i carboidrati complessi rappresentati dai cereali e derivati (pasta, riso, pane, tuberi), al secondo livello la frutta e la verdura, al terzo livello, con l’indicazione di un consumo moderato erano allocati gli alimenti proteici (carne, pesce, uova, formaggi) ed infine all’apice i grassi da condimento e gli zuccheri semplici da introdurre in piccole quantità.
Questo schema, negli USA, fu successivamente aggiornato nel 2005 con la MyPyramid, che non ebbe molto successo e, quindi, sostituita dal MyPlate nel 2011.
Nel 2004, sulla base degli esiti della ricerca scientifica, tra cui quelli emersi a valle di tre ampi studi epidemiologici condotti dai ricercatori statunitensi Walter Willett e Meir Stampfer, venne pubblicata la nuova versione della piramide “ufficiale” del governo americano (fig.3).

La piramide di Willett e Stampfer, rielaborata quindi su robuste basi scientifiche mise in evidenza che non tutti i grassi hanno le stesse valenze nutrizionali quindi vennero distinti i grassi di origine vegetale da quelli di origine animale. I primi, tra cui l’olio di oliva, di mais, di colza, furono riallocati in basso con l’indicazione specifica di consumo quotidiano come condimento, vennero bandite le margarine mentre tutti i grassi di origine animale furono collocati all’apice, condividendo lo spazio con la carne rossa e con alimenti a base di carboidrati complessi ad alto indice glicemico, come pane, pasta, riso, patate dolci, precedentemente collocati alla base della piramide USDA 1992. Alla base della piramide vengono collocati i cereali integrali, ricchi in fibra, di cui si suggerisce un consumo quotidiano. Viene introdotta una riduzione del consumo di latte e derivati e, a coronare il tutto l’attività fisica, ritenuta fondamentale, unitamente alla dieta sana e bilanciata, per mantenere un duraturo stato di buona salute.
Va ricordato in questa sede che sempre il team del prof. Willett del Dipartimento di Epidemiologia dell’Harvard School of Public Health di Boston, già nel 1995, nel paper dal titolo “Mediterranean diet pyramid: a cultural model for healthy eating”, presentò la prima piramide alimentare che rispecchia le tradizioni alimentari mediterranee, storicamente associate alla buona salute, basata sui modelli alimentari tipici dell’inizio degli anni ’60 di Creta e di gran parte del resto della Grecia e dell’Italia meridionale evidenziando che in questi luoghi l’aspettativa di vita degli adulti era tra le più alte al mondo ed i tassi di malattie coronariche, alcuni tumori e altre malattie croniche legate alla dieta erano tra le più basse.
La piramide della dieta mediterranea includeva già una regolare attività fisica ed una dieta povera di grassi saturi, abbondanti cibi vegetali (frutta, verdura, pane, altre forme di cereali, patate, fagioli, noci e semi), olio d’oliva come principale fonte di grasso, tra i prodotti lattiero-caseari principalmente formaggio e yogurt, pesce e pollame con l’indicazione di consumo in quantità da basse a moderate, fino a massimo di quattro uova a settimana, carne rossa consumata in quantità molto basse e vino in quantità da basse a moderate, normalmente ai pasti. Nel 2002 il Prof. Flaminio Fidanza, famoso nutrizionista italiano, che collaborò con il prof. Ancel Keys nella conduzione del ‘Seven Country Study, portò all’attenzione della comunità scientifica una rappresentazione grafica della DM alternativa alla priamide: il Tempio della Dieta Mediterranea Salutare (fig. 4)

Il tempio greco andava interpretato partendo dal crepidoma, la base, dove era riportata la raccomandazione che uno stile di vita sano deve prevedere: l’equivalenza tra apporto e consumo energetico. Allo scopo si suggeriva una alimentazione che includeva il consumo di olio di oliva e una moderata assunzione di vino rosso. Sulle colonne portanti esterne, con caratteri di differente grandezza a indicare le differenti quantità di cibo, sono inclusi alcuni alimenti caratterizzanti della Dieta Mediterranea da consumare quotidianamente mentre sulle colonne centrali sono riportati gli alimenti plastici che possono essere consumati non più di tre volte alla settimana, infine, sui fregi sotto il timpano gli alimenti da utilizzare con estrema parsimonia. Nel timpano campeggia la linea guida: la Moderazione.
Nel 2009, nell’ambito delle Celebrazioni Ufficiali Italiane per la Giornata Mondiale dell’alimentazione, l’Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione (INRAN), in collaborazione con altri enti di ricerca e con il contributo di FAO e del Forum on Mediterranean Food Cultures, presentò una ulteriore nuova versione col nome di Piramide Alimentare della Dieta Mediterranea Moderna che rappresenta il nuovo modello dietetico di riferimento per i popoli del Mediterraneo (fig. 5).

La nuova piramide sottolinea l’importanza dell’attività fisica ma anche dei principi alla base del riconoscimento dell’Unesco tra cui la convivialità e suggerendo di privilegiare il consumo di prodotti locali su base stagionale. Questa Piramide, rivolta a tutti gli individui di età compresa tra i 18 e i 65 anni, era basata sulle più evidenze scientifiche del tempo che correlavano la DM ai benefici per la salute. Per la prima volta la piramide veniva strutturata indicando alla base gli alimenti che compongono un pasto principale e nelle sezioni superiori, gli altri alimenti necessari a completare il pasto. Il documento propone una riformulazione del concetto di DM non solo come modello di alimentazione salutare, ma anche come stile di vita sostenibile che si esprime attraverso le diverse specificità locali. Il 2010 giunge il riconoscimento della DM come Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità e, a partire dal 2011, il tema della sostenibilità diventa centrale.
All’EXPO di Milano 2015 la DM è stata la protagonista declinata come il modello dietetico di riferimento globale per i riconosciuti benefici nella prevenzione delle malattie croniche e nel miglioramento generale del benessere, per il basso impatto ambientale e la ricchezza di biodiversità, l’elevato e positivo impatto sulle economie locali, sullo sviluppo territoriale sostenibile, sulla riduzione della povertà rurale e per l’impatto sulla riduzione degli sprechi e delle perdite alimentari.
Nel 2020 un gruppo di studiosi coordinati dal team spagnolo del Research Institute of Biomedical and Health Sciences, dell’Università di Las Palmas de Gran Canaria, in collaborazione con la Fondazione internazionale sulla Dieta Mediterranea di Barcellona ed altri enti, pubblica la nuova rappresentazione grafica della Piramide della Dieta Mediterranea (fig. 6), aggiornata sulla base delle nuove conoscenze scientifiche nel frattempo acquisite, che ha raccolto ed aggiornato le raccomandazioni non solo sulle esigenze alimentari ma anche sullo stile di vita, sulle sfide alimentari, socio-culturali, ambientali e sanitarie che le attuali popolazioni mediterranee devono affrontare e come modello in grado di essere adattato ai diversi contesti geografici, socio-economici e culturali dei Paesi dell’area mediterranea.

Gli alimenti alla base della piramide continuano a fornire i livelli di assunzione più elevati in termini di quantità.
Per le fonti proteiche animali si prevede consumo non più giornaliero ma settimanale. La sommità della piramide ospita alimenti sia animali che ricchi di zuccheri da consumare solo occasionalmente.
Viene fortemente raccomandata la preferenza per gli alimenti locali, stagionali, freschi e minimamente trasformati, a sostegno della biodiversità e di cibi tradizionali e rispettosi dell’ambiente.
Un modello come quello mediterraneo basato su alimenti di origine vegetale e poveri di alimenti di origine animale con un basso impatto sull’ambiente ha, quindi, un’impronta ecologica di gran lunga migliore rispetto ai modelli basati su abitudini alimentari, tipiche di numerosi paesi occidentali, basati su alimenti di origine animale. Su tali basi, la rappresentazione piramidale è stata integrata con la terza dimensione, quella dell’impatto ambientale dei prodotti alimentari inclusi in ognuna delle sezioni, nonché gli aspetti della sostenibilità della produzione alimentare.
Non possiamo, infatti, non tenere conto, dei dati statistici che restituiscono un panorama allarmate con una popolazione mondiale in costante aumento dagli attuali 7,7 miliardi alle stime di 8,5 miliardi entro il 2030 e fino a 9,7 miliardi entro il 2050. Una popolazione che dovrà essere nutrita. Garantire un’alimentazione adeguata è una questione di sopravvivenza della specie umana ma anche dell’ambiente che la ospita in un fragile equilibrio. La scienza ha dimostrato che la produzione alimentare è la principale causa del cambiamento ambientale globale dal momento che l’agricoltura occupa circa il 40% delle terre del pianeta e la produzione alimentare è responsabile di circa il 30% delle emissioni globali di gas serra e il 70% dell’uso di acqua dolce.
L’aggiornamento della Piramide nel confermare le evidenze sulla salute e supportare il dibattito sulla sostenibilità della catena alimentare promuove i cambiamenti necessari per una vita più sana, sia per l’umanità che per il pianeta.
Fornire ad una popolazione mondiale in aumento una dieta su base locale, sana ma sostenibile rappresenta una sfida epocale. Il concept DM è parte della soluzione, quindi, in alternativa al modello globale, il modello incentrato sulle diete locali ispirate ai principi della DM è una parte importante della “via sostenibile”.
Ma la scommessa sulle diete locali è strettamente connessa con la biodiversità alimentare dei diversi luoghi che gioca anche un altro ruolo: quello dell’identità.
Le evidenze scientifiche sui regimi alimentari basati sui principi della DM forniscono un quadro generale molto dettagliato sugli effetti dei macro/micro-componenti e dei componenti minori bioattivi sulla salute, ma è la biodiversità alimentare tipica a fare la differenza dal punto di vista nutrizionale- nutraceutico tra un luogo e l’altro del mediterraneo.
Partendo da queste premesse il Food Chemistry, Authentication, Safety And Sensoromic Laboratory –Focuss Lab, del Dipartimento di Agraria dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, ha inteso intraprendere un viaggio attraverso il cibo e la cultura alimentare che si sta rivelando affascinante e sorprendente.
La frutta, la verdura, la frutta secca, le erbe aromatiche e quelle alimurgiche, sono esempi di alimenti tipici del desco mediterraneo che apportano fibra, vitamine e minerali, ma soprattutto composti bioattivi in grado di fornire un’alta protezione dalle malattie.
Le caratteristiche compositive degli alimenti vegetali sono fortemente influenzate da vari fattori quali la cultivar/ecotipo, l’habitat, le pratiche. In ogni luogo, a parità di tipologia di alimento vegetale, si rintracciano ecotipi o cultivar differenti e, a parità di cultivar, l’habitat influenza le performance motivo per il quale si osservano modificazioni compositive di tipo quali-quantitativo soprattutto a carico di quei componenti ad azione funzionale che, in quanto metaboliti secondari, sono prodotti dalla specie vegetale in risposta agli stress ambientali. Questo significa che ogni luogo può esprimere, a parità di tipologia di alimenti, una qualità generale, nutrizionale e nutraceutica assolutamente differente.
Numerose sono le varietà rosse di cipolla ma se confrontiamo il contenuto in alcuni principi attivi funzionali (es. flavonoidi) con quelli della cipolla rossa di Tropea emergono sorprendenti evidenze: la concentrazione di principi funzionali è, in quest’ultima, di gran lunga superiore, quindi mangiare una insalata di pomodori con cipolla rossa di Tropea, a parità di quantità, favorisce un maggiore introito di elementi nutraceutici.
Gli effetti benefici di un condimento funzionale quale è l’olio di oliva, sui fattori di rischio di malattie cardiovascolari sono ormai noti ed ascrivibili agli elevati livelli di acido oleico e ai componenti minori tra cui alcoli alifatici e triterpenici, steroli, tocoferoli, caroteni. Rispetto ai composti minori bioattivi, l’olio extravergine di oliva prodotto in tutta l’area mediterranea da cultivar tipiche, si distingue per le forti differenze compositive che fanno la differenza sugli effetti salutistici. Ad esempio gli oli ottenuti dalla cv Grossa di Gerace, diffusa esclusivamente in una limitata area della fascia ionica della provincia di Reggio Calabria, presenta delle peculiarità di grande interesse per gli aspetti nutraceutici. Tali peculiarità sono fortemente correlate alla particolare composizione fenolica che differisce nettamente da tutti gli altri oli di oliva italiani. A fronte di un contenuto medio-basso di composti fenolici polari, tra cui gli acidi fenolici, i flavoni, gli alcoli fenil-etilici ed i secoiridoidi, in quest’olio di oliva vi è la presenza, cultivar-specifica, di due sostanze fenoliche appartenenti alla famiglia chimica dei lignani: l’acetossipinoresinolo e il pinoresinolo. Questo sottogruppo di polifenoli non flavonoidi – che nelle piante svolgono funzioni difensive nei confronti di attacchi da parte di funghi e batteri patogeni ed agiscono anche come antiossidanti – sono tra le sostanze più interessanti per l’attività antitumorale. Nell’ uomo, studi epidemiologici e fisiologici hanno dimostrato che sono in grado di esercitare effetti positivi nella prevenzione di patologie correlate allo stile di vita, quali il diabete di tipo II ed il cancro. Un aumento del loro consumo nella dieta è correlato ad una riduzione dell’insorgenza di alcuni tipi di tumori estrogeno-dipendenti, tra cui il tumore al seno.
Questi due esempi vogliono dimostrare come, sia pure nel comune contesto della DM, la diversità delle diete locali, valorizzando la biodiversità, conferiscono identità ad ogni luogo ma sono anche una straordinaria fonte di benessere.
Sulla base di tale convinzione, per supportare in modo innovativo le diete locali del modello alimentare mediterraneo e, con esso, la sostenibilità dei sistemi alimentari, il Focuss Lab da diversi anni implementa la banca dati contenente il profiling della qualità ed i markers di autenticazione dei prodotti alimentari della Dieta Mediterranea della Calabria, denominata ME.DI.CA. (Mediterranean Diet of Calabria), nella quale sono nel tempo confluiti i risultati di diversi progetti di ricerca e che continuerà ad accogliere anche i dati provenienti da fonti differenti con l’obiettivo di supportare il sistema di certificazione degli alimenti e delle preparazioni alimentari mediterranee ad alto impatto nutraceutico.

di Mariateresa Russo
Professore di Chimica e Qualità degli alimenti
Responsabile Scientifico del Food Chemistry, Authentication, Safety and Sensoromic Laboratory –Focuss Lab
Dipartimento Agraria
Università Mediterranea di Reggio Calabria